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Foto Sateriale recentedi Gaetano Sateriale, coordinatore CERS2030 e Ferrara 2030 e componente del Comitato Scientifico dell'Ass. Nuove Ri-Generazioni

Ieri 28 giugno si è tenuta on line la presentazione del libro “Disuguaglianze e conflitto, un anno dopo” di Fabrizio Barca e Fulvio Lorefice, Editore Donzelli. La forma della discussione è stata molto innovativa: lettori di 5 diverse città si sono incontrati a ragionare sul libro (a Napoli, Messina, Roma, Ferrara, Genova), poi si sono collegati in rete fra loro e con gli autori per una discussione precisa sui contenuti del libro: intervenendo ciascuno su un capitolo prefissato.

Rimandiamo alla lettura del libro, molto ricco e attuale e riportiamo di seguito il contributo portato dalla sede Cgil di Ferrara da Gaetano Sateriale, grazie al confronto e al contributo di: Federico Varese (prof. all’università di Oxford), Paola Zanardi (università di Ferrara e associazione Amici Biblioteca Ariostea), Lucetta Capra (pediatra e Amici Biblioteca Ariostea), Veronica Tagliati (segretaria generale Ccdl Cgil di Ferrara), Giuliano Guietti (Ires Cgil Emilia Romagna), Roberto Cassoli (Istituto Gramsci e Anpi Ferrara).

         Prima di intervenire sul capitolo “Fermento sociale e il partito che non c’è”, una sottolineatura sul primo capitolo del libro in cui gli autori ricostruiscono le vicende internazionali che hanno coinvolto direttamente l’Europa dalla fine dell’Urss fino a oggi. In estrema sintesi, gli autori sembra a noi che abbiano ragione, la sovrapposizione tra UE e Nato è antistorica: la Nato è nata durante la guerra fredda e non si è adeguata alla nuova situazione geopolitica mondiale. In sostanza: rafforzare l’Unione europea e Rafforzare la Nato sono due scelte non compatibili. Bisogna scegliere o l’una o l’altra: sembra che nemmeno la sinistra italiana ed europea abbiano colto questa rilevante novità.

         Venendo al capitolo di nostra pertinenza, 10 brevi considerazioni:

1.     È vero, la società civile è ricca di iniziative e di presenze organizzate in tutto il nostro Paese, più ricca della politica, ma è spesso segmentata e senza sedi di confronto e coordinamento (almeno nella parte laica dell’attivismo sociale). Da qui l’esigenza di fortissima attualità di dar vita a un soggetto politico che tenti un’aggregazione delle migliori pratiche e delle migliori piattaforme sociali. Non serve una sinistra che fa prevalentemente autocoscienza e ragiona quasi esclusivamente di alleanze partitiche.

2.     Ma cos’è una identità politica di sinistra? Molto semplice, secondo noi: se è vero che le diseguaglianze stanno crescendo nel mondo, in Europa, in Italia (persino dentro le diverse regioni italiane), essere di sinistra significa proporsi una riduzione generale delle diseguaglianze (economiche, sociali, ambientali, territoriali, di genere, ecc), non solo una riduzione o una protezione per alcuni strati sociali (e per i propri rappresentati). Questo il tratto che caratterizza una forza sociale o politica di sinistra.

3.     Spesso, anche le istituzioni, si confonde la riduzione delle diseguaglianze con la corresponsione parziale di indennizzi o “compensi” a chi è svantaggiato. No, è una politica di promozione quella che va attuata per ridurre le diseguaglianze. Un welfare attivo per le persone (tutte) che abitano il nostro Paese (non solo la “nostra Nazione”, come dice la Presidente del Consiglio, senza che nessuno nemmeno a sinistra abbia notato la differenza terminologica e concettuale). Un Welfare attivo e promozionale per le persone e, aggiungiamo noi, un Welfare attivo del territorio che riduca i rischi attraverso la manutenzione preventiva e non agisca a compensazione di una emergenza già accaduta. Prevenire è meglio (e costa meno) che curare.

4.     La sinistra ha commesso l’errore di credere nell’assioma liberista per cui è lo sviluppo globale da solo (economico e finanziario), nel libero mercato, a redistribuire in maniera più o meno egualitaria (per chi se lo merita) il reddito prodotto. Ma questo, come dice Papa Francesco, “negli ultimi 200 anni non è mai accaduto”. La redistribuzione del benessere va attuata con politiche precise a livello europeo e italiano.

5.     Quindi l’identità della “nuova” sinistra è un’identità prima di tutto programmatica che sappia ripartire dai bisogni reali (delle persone e del territorio). Su questa identità del “Che fare” poi si costruirà anche un’identità etica valoriale, individuale e collettiva che sia. Anche con nuove scuole di formazione politica orientate sul da farsi (non solo sul chi siamo e da dove veniamo).

6.     Quali politiche allora? Secondo noi non c’è nulla da inventare. Le strategie globali per la riduzione dei diversi tipi di diseguaglianze stanno tutte scritte nei goals e nei target dell’Agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile (ambientale, sociale, economico, istituzionale) e politico, aggiungiamo noi. Accanto all’Agenda, l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” che lega indissolubilmente benessere sociale e tutela ambientale nella cosiddetta “Economia di Francesco”.

7.     Non si tratta di indirizzi generici e nemmeno di ideologie, sono ricette universali dalle quali certo vanno declinate priorità e obbiettivi per continenti, paesi, regioni, territori e città. Su queste politiche e questi obiettivi siamo in ritardo anche in Italia, anche nelle Regioni più sensibili ed attive, malgrado le ripetute dichiarazioni di intenti.

8.     Il percorso di articolazione delle scelte strategiche in vere e proprie piattaforme va fatto con tecniche di partecipazione, confronto e inclusione sociale cui la politica non è più abituata ma indispensabili perché, come dicono gli autori del libro, le politiche di sostenibilità e riduzione delle diseguaglianze producono “contrasti” e “conflitti” tra interessi diversi.

9.     Difficile immaginare e sperare che questo processo di riconversione del modello economico classico in uno sostenibile avvenga secondo una filiera legislativa illuministica dall’alto (europea o nazionale che sia). L’intervento legislativo va sollecitato e favorito con un sistema “vertenziale” di confronti concreti attuati nei territori, in rete con i soggetti sociali presenti.

10.  In estrema sintesi: per tornare a conquistare il consenso di chi non vota più (a sinistra) bisogna tornare a conoscere direttamente (di persona, non con i social) i suoi bisogni e corrispondere in concreto nuovi servizi che soddisfino quei bisogni, altrimenti sono chiacchiere.