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Il 19 marzo l'ILO, l'Organizzazione internazionale del Lavoro, ha reso pubblico un nuovo rapporto dal titolo "Profits and Poverty: The Economics of Forced Labour” (QUI il video), che stima i profitti generati dal lavoro forzato nel mondo di oggi. Questi profitti riflettono i salari effettivamente rubati dalle tasche della lavoratrici e dei lavoratori dagli autori del lavoro forzato attraverso le loro pratiche coercitive.

Il lavoro forzato preso in esame nell'indagine dell'ILO si riferisce al lavoro nell’economia imposto da privati, gruppi o aziende in qualsiasi ramo dell’attività economica e si suddivide in due gruppi:

a) si riferisce al lavoro illegale nell'economia privata imposto da privati, gruppi o aziende in qualsiasi ramo dell'attività economica (FLE) ad eccezione dello sfruttamento sessuale a fini commerciali;

b) sfruttamento sessuale a fini commerciali (FCSE).

Nel 2021, 27,6 milioni di persone si trovavano ancora in situazioni di lavoro forzato/irregolare con un incremento drammatico negli ultimi 10 anni:

  • del 37% (64 miliardi di dollari) dei profitti illegali derivanti dal lavoro forzato;
  • del 27% di persone impiegate in modo illegale nell’economia privata;
  • per ogni vittima dello sfruttamento un aumento del 21% dei profitti (si stima che i trafficanti e i criminali stiano generando quasi 10.000 dollari per vittima, rispetto ai US$ 8.269 di un decennio fa);
  • i profitti annuali illegali ammontano complessivamente a 236 miliardi di dollari.

I progressi - secondo l'ILO - devono essere più rapidi e globali se vogliamo rispettare i nostri impegni entro le date fissate negli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) per porre fine al lavoro forzato infantile entro il 2025 e, a livello universale, entro il 2030. L''eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato è inoltre, uno dei cinque principi e diritti fondamentali nel lavoro riconosciuti dalla Dichiarazione dell'ILO sui principi e diritti fondamentali nel lavoro (FPRW).

Comprendere e affrontare il fenomeno di questi profitti illeciti è fondamentale per ottenere avanzamenti nella lotta contro ogni forma di violazione dei diritti sul lavoro e per garantire il progresso umano. Il lavoro forzato però è anche una grave violazione dei diritti umani fondamentali. Al di là delle conseguenze individuali per le vittime, il lavoro forzato comporta costi economici e sociali per l’intera società. La relazione dell’ILO, finanziata dal governo francese, intende far luce sul legame tra il lavoro forzato e le strutture di incentivazione economica che lo guidano.

Con una maggiore prevalenza di questa pratica in Europa e in Asia centrale rispetto all’Africa o alle Americhe, diventa evidente che il lavoro forzato è anche il risultato di un’ingiustizia sociale persistente e di una volontà politica inadeguata a contrastarlo. I profitti illeciti annuali totali sono più alti in Europa e in Asia centrale (84 miliardi di dollari), seguiti da Asia e Pacifico (62 miliardi di dollari), dalle Americhe (52 miliardi di dollari), dall’Africa (20 miliardi di dollari USA) e dagli Stati arabi (18 miliardi di dollari).

Come dicevamo il lavoro forzato è un reato grave, che non può essere eliminato solo attraverso l’applicazione della legge penale, ma piuttosto attraverso un approccio ampio incentrato sulla prevenzione e sull’affrontare le cause profonde e sulla garanzia di protezione per le persone colpite.

L’ILO è in linea con la Comunicazione della Commissione Europea sul lavoro dignitoso a livello mondiale, che riafferma l’impegno dell’UE a sostenere l’eliminazione del lavoro forzato sia in patria che nel mondo nel perseguimento del lavoro dignitoso. Anche la Direttiva UE sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale e la proposta di regolamento dell’UE sul divieto di prodotti realizzati con lavoro forzato sul mercato dell’Unione dimostrano che la lotta al lavoro forzato è una priorità dell’agenda dell’UE in materia di diritti umani.

L’evento offre, infatti, anche l’opportunità di discutere le misure chiave necessarie per affrontare le cause profonde del lavoro forzato e per fare il punto sui progressi compiuti nei negoziati sul divieto dell’UE sui prodotti realizzati con il lavoro forzato.

Dopo lo sfruttamento sessuale commerciale forzato, il settore con i più alti profitti illegali annuali è l’industria, a 35 miliardi di dollari, seguita da servizi (80,8 miliardi di dollari), agricoltura (5,0 miliardi di dollari) e lavoro domestico (2,6 miliardi di dollari).

Se in Italia pensavamo di essere immuni dal fenomeno e soprattutto non coinvolti ci sbagliavamo di parecchio. Come si legge  nel Rapporto il fenomeno è diffuso anche in Europa. Le persone vittime di sfruttamento sono sottoposte a molteplici forme di coercizione: il più comune è il trattenimento sistematico e deliberato della retribuzione, seguito dall’abuso della vulnerabilità attraverso la minaccia di licenziamento e i  lavoratori migranti sono 3 volte più a rischio di essere coinvolti. L'87% dello sfruttamento che riguarda lavoratrici e lavoratori adulti avviene in 5 settori: servizi, manifatturiero, edilizia, agricoltura e lavoro domestico. In Italia i sindacati denunciano da anni nelle aziende misure di sicurezza assenti, subappalti a cascata (nel cantiere teatro del crollo a Firenze si stima che le imprese al lavoro fossero circi 60!), ma anche part-time fittizi e contratti alias.

Marco Benati della Fillea Cgil - in un'intervista durante un'inchiesta de L'Espresso in occasione della strage al cantiere Esselunga di Firenze - ha dichiarato: "Noi denunciamo da tempo che la situazione del lavoro nero è drammatica". Il sindacato stima che sono almeno 200 mila i lavoratori sfruttati in edilizia e, secondo il rapporto Istat sull’economia sommersa del 2023, quasi 16 lavoratori su 100 nelle costruzioni sono in nero. "Sappiamo bene - prosegue il sindacalista - che esistono queste reti di fornitura di braccia per il lavoro edile; sono caporali che lavorano per nazionalità e aprono e chiudono queste “agenzie” una volta ogni due anni, per non incappare in controlli di routine. Da quel che abbiamo potuto capire – dice ancora Benati – lavorano per specializzazione: gli egiziani e i marocchini sono esperti di muratura e cartongesso, i bengalesi e gli indiani di armature e getti di cemento. E queste reti ingaggiano lavoratori in subappalto alle ditte». Spesso gli operai lavorano in subappalto del subappalto, con paghe sempre più basse. Queste società sono localizzate soprattutto nel Milanese, ma inviano manodopera in tutta Italia. A volte, se gli operai hanno i documenti, viene fatto loro un contratto regolare part-time e vengono assunti da società fittizie che sono parte di altre società, in un sistema di scatole cinesi".

Anche nel settore tessile e, in particolare della moda, si registrano vari fenomeni di sfruttamento lavorativo nel ciclo produttivo: per lo più si incontrano aziende che, tramite un contratto di appalto senza i dovuti controlli di filiera, esternalizzano l’intera produzione a società terze, consentendo l’impiego di manodopera irregolare e clandestina. Questo sistema permette di abbattere i costi, sfruttando operai e operaie in condizioni precarie e non rispettando le normative in materia di lavoro, sicurezza, e contratti collettivi nazionali. L'area tessile di Prato è esemplificativa: secondo la Filctem Cgil 2 lavoratori su 3 sono soggetti a sfruttamento. Il fenomeno è importante e gravissimo. Infatti la Filctem è "parte civile in alcuni processi e continua a denunciare questo sistema di produzione illegale, che macchia la parte sana e operosa del settore". Negli ultimi tempi a Prato, spiega il sindacato, "ai lavoratori cinesi si sono aggiunti molti sub-sahariani, soprattutto senegalesi e gambiani. E capita, talvolta, che siano gli stessi cinesi a trasformarsi da sfruttati a sfruttatori. Sono diminuiti i dormitori, cioè le fabbriche in cui gli operai dormivano, ma non mancano situazioni di vessazione anche fisica. L’anno scorso la Filctem ha assistito tre lavoratori che venivano picchiati con una cinghia se il loro rendimento calava. Quando i lavoratori sfruttati si rivolgono al sindacato, la giustizia va a colpire il singolo datore di lavoro, ma bisogna iniziare a individuare e a colpire i committenti. In Italia le norme per evitare queste situazioni esistono, basterebbe applicarle".

Oltre al lavoro nero, c’è infatti  tutta una serie di sottocategorie nel mondo dello sfruttamento lavorativo. C’è il cosiddetto lavoro grigio, cioè contratti per quattro ore di lavoro, anche se ne vengono lavorate il doppio o più. E poi ci sono i "contratti alias" dove viene utilizzato lo scambio di identità, per far risultare con un contratto di lavoro regolare chi non lo è.

* In homepage Foto di Mina Rad su Unsplash

 Per la Redazione - Serena Moriondo