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Foto COP28 Dubai scenicaNon c'è il phase-out* dei combustibili fossili nella bozza di accordo finale proposta dal Sultano Ahmed Al Jaber alle parti, nonostante la richiesta di un blocco di ottanta Paesi che va dall'Unione Europea al più piccolo arcipelago dell'Oceania. Nel testo troviamo solo una raccomandazione, anche piuttosto debole: "Chiediamo alle parti azioni che potrebbero includere la riduzione del consumo e della produzione di combustibili fossili, in un modo giusto, ordinato ed equo, per raggiungere net zero entro il 2050." Seppure nella fase conclusiva della Conferenza, si tratta ancora di una bozza e sappiamo che le bozze significano che la contrattazione è ancora aperta, ma certo non è di buon auspicio. 

A cosa grave se ne aggiunge un'altra: anche il capitolo che fa riferimento alla scienza del clima ha un richiamo agli accordi di Parigi del 2015 e non al successivo rapporto IPCC del 2018 su 1,5°, dove vi era un'attestazione di peggioramento complessivo dello stato di surriscaldamento del pianeta.

Il ministro dell'ambiente di Samoa, che a Dubai rappresenta tutti i 39 Stati insulari del mondo (AOSIS, Alliance of Small Island States), ha dichiarato: "Questo testo sarebbe il nostro certificato di morte". Per gli abitanti delle isole che vivono a meno di 2 metri sul livello del mare il documento voluto dall'OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries), i 13 Paesi esportatori di petrolio, è senza alcun dubbio una condanna a morte.

Si è aperto un livello di scontro tra nazioni, che - come ha ricordato il giornalista Cotugno su Areale -  non è più politico, è esistenziale. Con questo testo "si è sancita un'estinzione per consenso. Se il clima è un plotone di esecuzione , loro sono i primi. Poi verremmo noi (..)".

Little Boy Pretending To Be A Superhero With A Red Cape, Holding A Cardboard Sign That Says SAVE THE PLANETOra si vede con più nettezza quanto l'accordo sul fondo Loss and Damage del primo giorno della Conferenza, tanto voluto dal Sultan Al Jaber, abbia rappresentato solo la carota. Dopo gli Stati del blocco AOSIS, a uscirne piuttosto male è l'Unione europea che oltre al danno per la mancanza di un accordo sull'uscita dall'utilizzo dei combustibili fossili, ha dovuto subire il veto della Russia alla proposta europea di organizzare la prossima COP29 a Sofia in Bulgaria.

E' infatti stato reso ufficiale che il prossimo incontro nel 2024 sarà a Baku, in Azerbaijan, una delle economie al mondo più dipendenti dei fossili e facenti parte dell'OPEC+ (il gruppo allargato dei paesi esportatori di petrolio), in guerra contro l'Armenia per il controllo della regione Nagorno-Karabakh popolata principalmente da armeni che aveva dichiarato la propria indipendenza dall’Azerbaijan proprio nel settembre del 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

E' stato, inoltre, annunciaro che COP30, nel 2025, sarà organizzata a Belem, in Brasile il cui sottosuolo ospita le seconde riserve petrolifere più grandi del Sud America. Non sarà dunque un caso che il Presidente Lula ha annunciato, in un mare di critiche, che il Brasile entrerà dal 2024, in qualità di osservatore, nell'OPEC.

Se la minaccia della guerra, il predominio dei combustibili fossili e lo sfruttamento del pianeta e degli esseri umani privati delle libertà fondamentali, rappresentano il modello di business prevalente, la sicurezza del pianeta deve diventare la nuova resilienza. La Resistenza del XXI secolo. 

* l’eliminazione graduale dei combustibili fossili

Per la Redazione - Serena Moriondo