Dalla pubblicazione dell'"Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni" di Adam Smith, nel 1776, del tempo ne è trascorso, e per molti anni "la crescita" è diventata molto più di un concetto macroeconomico, piuttosto un paradigma alla base dell'ascesa della moderna società industrializzata e dei modi di produzione e consumo che le moderne economie comportano.
La crescita economica ha trasformato radicalmente le economie e le società europee. Mentre nel 1800 la maggior parte della forza lavoro nell'Europa continentale lavorava nell'agricoltura, meno del 5% della popolazione attiva nell'UE è ancora oggi impiegata nel settore agricolo. Di conseguenza, mentre la maggioranza assoluta della popolazione nel 1800 viveva nelle zone rurali, la maggioranza complessiva dei cittadini di oggi vive negli agglomerati urbani, molti dei quali sono diventati delle metropoli.
La crescita economica ha portato una prosperità diffusa nel dopoguerra, ha contribuito all'innalzamento del tenore di vita, alla riduzione della povertà e all'aumento delle entrate fiscali per finanziare le politiche pubbliche. Tuttavia, nel corso del tempo, il concetto di crescita è stato sempre più criticato per aver trascurato gli impatti sociali e ambientali che le attività umane hanno prodotto e per non aver preso in considerazione le questioni relative alla disuguaglianza e alla distribuzione della ricchezza.
Le critiche al fallimento della crescita sia come paradigma che come concetto macroeconomico hanno ricevuto un ampio riconoscimento con il rapporto del 1972 "Club Of Rome" sui limiti della crescita, che ha evidenziato la dimensione fisica della economia attraverso leggi fondamentali della fisica come la termodinamica che ha consentito una migliore comprensione dei confini fisici della Terra, della complessità del sistema terrestre e dell'impatto dell'attività economica, in particolare in termini di esaurimento delle risorse e inquinamento. Quando negli anni '70 il Club di Roma pubblicò il Rapporto “Limits to growth” (“Limiti allo sviluppo”), per denunciare il fallimento del modello di mercato basato su una crescita infinita, venne fortemente contestati dagli economisti e dai decisori politici.
Queste prospettive hanno però contribuito a far crescere le critiche al consumismo, inteso come massimizzazione del consumo di una quantità sempre maggiore di beni e servizi come uno dei principali obiettivi delle politiche pubbliche.
Nel dibattito sulla crescita sono stati proposti numerosi approcci, ad esempio crescita verde e inclusiva, post-crescita e decrescita. Sono stati creati anche indicatori di misurazione alternativi, come Donut Economics e Sustainable Development Goals, per introdurre obiettivi multidimensionali nel processo decisionale e, più recentemente, politiche a sostegno della crescita verde e inclusiva, come il Green Deal europeo e il pilastro europeo dei diritti sociali. Il Green deal europeo, tuttavia, rimane fortemente legato all’idea di crescita, sebbene sia intesa come verde e inclusiva.
Mentre l'Europa, insieme a una serie di altre economie avanzate, sta attraversando un periodo di bassa crescita e si vede confrontata con la sfida climatica, il dibattito sul ripensamento delle narrazioni economiche per andare verso una concezione più multidimensionale del progresso socio-economico ha visto rinnovarsi interesse.
Il dibattito sull'andare oltre la crescita è ben documentato nello studio "Beyond Growth" ("Oltre la crescita"), che è stato oggetto della Conferenza del Parlamento europeo, dal 15 al 17 maggio 2023, con l'obiettivo di indirizzare il processo decisionale verso molteplici obiettivi economici, sociali e ambientali piuttosto che trattare la crescita come fine a se stessa. Mentre una parte di questo dibattito si è concentrato sugli indicatori (oltre il PIL), altre idee hanno esplorato nuove narrazioni che richiedono e determinano un cambiamento sistemico. Durante la Conferenza si è discusso di come garantire un futuro equo e sostenibile per le persone e per il Pianeta, di riforma del lavoro, di transizione ecologica e digitale, di agricoltura e di redistribuzione della ricchezza.
Il progresso, dunque, non è solo il PIL, dato che non rileva, ad esempio, se la crescita economica sia il risultato dello sfruttamento di persone, se abbia causato danni agli ecosistemi o una distribuzione non equa della ricchezza. E non necessariamente un aumento nel possesso di beni materiali corrisponde a una maggiore soddisfazione delle persone.
Della necessità di “andare oltre il PIL” si parla da molti anni anche a livello europeo ma, anche se gli indicatori venivano progressivamente affinati, il loro uso nei processi decisionali rimaneva comunque molto ridotto se non addirittura ostacolato.. La Conferenza da questo punto di vista costituisce un significativo cambiamento, perché mette a fuoco la necessità non solo di cambiare l’indicatore, e cioè il PIL, ma di ripensare il concetto stesso di crescita.
Come sottolinea lo studio, occorre innanzitutto ripensare il rapporto tra essere umano e natura in un’ottica dicollettività, contrastando il sempre più diffuso individualismo, e ridefinire il concetto di prosperità, tenendo conto dei limiti del nostro pianeta. È necessario adottare un approccio sistemico per cogliere la complessità del mondo e individuare i "leverage-points", i “punti leva” su cui intervenire per innescare profondi cambiamenti nel sistema. Ripensare il sistema significa anche riconoscere che “la crescita economica è stata basata sul suprematismo, sul colonialismo e sull’imperialismo” e che “non esiste un modello di ‘post-crescita’ senza decolonizzazione”. Per questo motivo occorre coinvolgere la società a tutti i livelli e ascoltare i bisogni della popolazione e delle fasce più marginalizzate.
Nei giorni della conferenza è stata diffusa anche una lettera, sottoscritta da oltre 400 rappresentanti e associazioni della società civile, per chiedere di procedere verso un modello “oltre la crescita”, necessario “non solo per sopravvivere, ma anche per prosperare”. I firmatari propongono un manifesto in tre punti: istituire strutture permanenti presso la Commissione, il Consiglio, il Parlamento e negli Stati membri per discutere delle strategie; un Green deal europeo che vada “oltre la crescita”; politiche “post-crescita” basate sulle biocapacità, sull’equità, sul benessere per tutte e tutti e sulla democrazia attiva.
Lo studio rileva alcune criticità nelle politiche europee, tra cui la difficoltà ad assicurare benessere equo per tutta la popolazione e i consumi troppo elevati rispetto ai limiti planetari. Nelle politiche europee non si considera, ad esempio, l’impatto della concentrazione della ricchezza nelle mani di poche persone, sulla coesione sociale e sulle opportunità delle singole persone. Inoltre, alcuni casi le possibili ripercussioni negative sull’economia hanno a volte frenato i piani più ambiziosi.
Il Rapporto si conclude con un capitolo che guarda al futuro. Parte da una serie di grafici sulla “Grande accelerazione”, che mostrano come “gli ultimi cinquant’anni hanno visto la trasformazione più rapida della relazione dell’uomo con il mondo naturale in tutta la sua storia”. L’attuale sistema economico è condannato non solo a essere incapace di risolvere la crisi, ma a perpetuarla aggravandola. In una società “oltre la crescita” l’enfasi deve essere sul raggiungimento di una società equa e sostenibile piuttosto che su una crescita economica senza fine. Questo significa riflettere sulle nostre priorità, significa porsi un problema di valore perché “l’individualista eccessivo, le spinte all’autopromozione, il perseguimento di obiettivi di eccessivo consumo probabilmente diminuiscono i comportamenti a favore dell’ambiente”.
"Ma è possibile - si domanda lo studio - mantenere i finanziamenti al welfare senza la crescita economica? Affrontare questo tema implica un fondamentale ripensamento delle politiche di welfare e in senso più ampio dei sistemi economici”. L’obiettivo, secondo il rapporto, potrebbe essere aggiunto in due modi: finanziando il welfare non più con imposte sulla produzione, ma sulla proprietà; ripensando le modalità con cui vengono perseguiti gli obiettivi di soddisfazione collettiva, per raggiungere il minimo impatto ambientale.
Infine, guardando alla realtà dell’Unione europea, il Rapporto segnala che l’Ue sta attraversando quattro transizioni: economica, geopolitica, ambientale e digitale, tutte “con impatti significativi sulle dimensioni sociali”. Il successo, tuttavia, è legato a un processo di transizione sociale che può essere identificato come “la trasmissione mancante”. Per arrivarci però potrebbe essere necessaria una revisione dei trattati costitutivi dell’Unione, in particolare del trattato di Lisbona per valorizzare “il passaggio da una politica economia di mercato aperto a una politica di mercato sociale”.
“Ci si chiede da dove cominciare”- conclude il documento - "e quale sarà il risultato del percorso che verrà scelto. Il compito può sembrare insormontabile, eppure, gli aspetti che stanno portando il nostro sistema e il Pianeta verso i punti di non ritorno sono spesso chiaramente visibili. Forse il principale ingrediente è la determinazione. I policy makers devono fare delle scelte. (…) Per muoversi oltre i livelli di produzione e consumo del nostro sistema economico spinto dalla crescita è necessario definire una nuova narrazione, promuovere l’impegno, la discussione e la ricerca di soluzioni a tutti i livelli della società”.
Link: Lo studio “Beyond growth - Pathways towards sustainable prosperity in the Eu”
Per la Redazione - Serena Moriondo