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Immagine La salute è un diritto fondamentaledi Serena Moriondo

In questo caso gli indizi sono almeno quattro, troppi per non comprendere che la denuncia dell’Associazione Salute Diritto Fondamentale ad un ritorno al passato che vede in atto un processo di privatizzazione, e insieme di impoverimento, del SSN, ha solide basi.

Un processo che parte da lontano. Un processo silenzioso e per questo ancora più insidioso perché sottratto al pubblico dibattito, nel disinteresse (apparente) della politica e nel silenzio assordante di Roberto Speranza, il quale dovrebbe dismettere l’immaginario ruolo di 'Ministro delle Vaccinazioni' per dedicarsi alla soluzione degli annosi e irrisolti problemi del nostro malandato SSN, per di più aggravati dalla pandemia.”

La premessa è che “il Servizio sanitario nazionale è arrivato impreparato all’appuntamento con il COVID-19, penalizzato da anni di de-finanziamento, di tagli dei posti letto e del personale e da politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi territoriali e di prevenzione, mostrando le sue debolezze e fragilità”, nonostante il grande impegno delle lavoratrici e dei lavoratori.

Rapidamente si è sviluppato un generale consenso politico sulla necessità di rafforzare il servizio sanitario nazionale. Ma passata la fase acuta della pandemia, la sanità è ben presto tornata a occupare la parte bassa della classifica delle priorità̀ del paese.
Il primo segnale che non fosse in vista alcun rafforzamento del SSN è arrivata – dicono i firmatari del documento - già lo scorso aprile quando il Governo ha reso note le previsioni di andamento della spesa sanitaria pubblica.” Se dal 2017 al 2020 questa percentuale era rimasta ferma al 6,6% del PIL (tra le più̀ basse in Europa), arrivando al 7,3% nel 2021 a causa delle spese sostenute per la pandemia, la tendenza programmata negli anni successivi è nuovamente al 6,7% nel 2022; 6,6% nel 2023 e addirittura 6,3% nel 2024. “Un pessimo segnale che indica il ritorno allo scenario che, a partire dal 2011, ha penalizzato il SSN, riducendo risorse umane e strutturali, tagliando l’offerta pubblica di servizi, provocando lo scandaloso allungamento delle liste d’attesa e favorendo l’espansione dell’offerta privata, trainata anche dalla diffusione di varie forme di assicurazioni integrative aziendali. La lezione della pandemia non è servita. Diversi indizi stanno anzi a indicare che è sempre più attuale il Foto Martina infermieradisegno di privatizzare la sanità italiana, iniettandovi generose dosi di mercato.”

I quattro indizi:

  1. Il primo indizio riguarda il personale.Nell’ultimo decennio c’è stata una perdita 45mila unità personale tra medici e infermieri, con una diminuzione del 6,4% rispetto al 2009. Al blocco delle assunzioni ha contribuito in modo determinante una norma introdotta con la legge Finanziaria del 2011 che prevedeva che il livello massimo di spesa per il personale doveva parametrarsi a quello dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento, che ha favorito la crescente espansione di quella privata, soprattutto nel campo delle attività diagnostiche e specialistiche e della chirurgia di elezione. Con l’emergenza pandemica quella norma è stata momentaneamente sospesa ma non cancellata. Durante la pandemia molte attività sono state chiuse o ridotte e ora fanno fatica a ripartire per la cronica mancanza di personale. “E i pazienti – si legge nel documento di Salute Diritto Fondamentale – si stanno abituando a evitare le strutture pubbliche, per lo più in ristrutturazione e riorganizzazione. Si ricorre quindi al privato che al contrario, avendo partecipato solo marginalmente alle attività emergenziali, non ha bisogno di grandi ricostruzioni. Il rischio è che i 500 milioni messi a disposizione per smaltire le liste di attesa siano destinati tutti al privato, anziché a rinforzare la ripresa delle attività nel SSN, indebolendo ulteriormente l’offerta pubblica e aumentando il potere di mercato di molti soggetti privati”. Al contrario è chiaro a tutti che è sulla tenuta del personale che si gioca la stessa sopravvivenza del SSN quindi, la priorità assoluta, rimane quella di formare ed assumere alcune migliaia di medici e infermieri, ma anche di operatori socio-sanitari, all’interno dei servizi pubblici.
  1. Il secondo indizio riguarda la lentezza nella ripresa dell’attività ordinaria. Durante la pandemia gran parte dei servizi sono stati ridotti o addirittura sospesi, con ricadute negative sulla salute delle persone. La ripresa delle attività ordinarie fatica ora a vedersi, e i pazienti si stanno abituando a evitare le strutture pubbliche, per lo più in ristrutturazione e riorganizzazione. Si ricorre quindi al privato che al contrario, avendo partecipato solo marginalmente alle attività emergenziali, non ha bisogno di grandi ricostruzioni. Il rischio è che i 500 milioni messi a disposizione per smaltire le liste di attesa siano destinati tutti al privato, anziché a rinforzare la ripresa delle attività nel SSN, indebolendo ulteriormente l’offerta pubblica e aumentando il potere di mercato di molti soggetti privati. Così come, i fondi del PNRR per l’assistenza domiciliare integrata rischiano di essere destinati a erogatori privati anziché a rafforzare la presa in carico globale e integrata da parte dei servizi pubblici.
  1. Il terzo indizio riguarda la concorrenza sleale. Nel marzo del 2021, l’Autorità̀ Garante della Concorrenza e del Mercato rivolgendosi al Presidente del Consiglio dei Ministri con la sua annuale Segnalazione di Proposte di riforma concorrenziale ha sollecitato: “… una maggiore apertura all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate grazie a … una più intensa integrazione fra pubblico e privato volta ad incentivare la libera scelta di medici, assistiti e terzo pagante”. Vi è anche l’invito a eliminare “… il vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari, prevedendo che l’accesso dei privati all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate con il SSN sia svincolato dalla verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari”. Ci auguriamo - sostengono i firmatari dell'Associazione - che il Governo respinga – come accaduto nel passato – una raccomandazione pericolosa che assimila gli ospedali alle imprese. Certamente si tratterebbe di concorrenza sleale il comportamento di un Governo che da una parte apre i rubinetti della concorrenza tra pubblico e privato e dall’altra lega le gambe al competitore pubblico."
  1. Disegno servizio sanitario nazionale cauduroIl quarto indizio riguarda l’approvazione del modello lombardo di sanità. “La lezione della pandemia – si legge ancora nel documento – avrebbe dovuto produrre profonde correzioni a un modello di sistema sanitario (dimostratosi fallimentare nella lotta a Covid) che aveva cancellato la rete dei servizi territoriali pubblici, affidando l’erogazione delle prestazioni domiciliari ad agenzie private, e instaurato in campo ospedaliero una concorrenza tra settore pubblico e settore privato, fortemente squilibrata a favore del secondo. Tale modello era il frutto di riforme avviate fin dal 1995 dalla presidenza Formigoni e proseguite con la riforma Maroni del 2015. Tale riforma aveva carattere sperimentale e soggetta, dopo 5 anni, alla valutazione da parte del Ministero della salute, che ha deciso di delegare tale funzione all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.Il 30 luglio scorso Agenas ha dato la sua approvazione alla riforma della sanità lombardaPochi giorni dopo, il 4 agosto, è stata firmata l’Intesa Stato-Regioni sui criteri di autorizzazione e accreditamento degli erogatori privati e pubblici di servizi di assistenza domiciliare in vista dell’investimento di 4 miliardi di euro previsti dal PNRR. Criteri molto simili a quelli adottati dalla Regione Lombardia che paga le prestazioni domiciliari fornite da privati accreditati “pattanti” in competizione tra loro nell’accaparrarsi i clienti bisognosi che, con in mano un “voucher”, scelgono il privato a cui rivolgersi.  La coincidenza temporale dell’approvazione del modello lombardo e dell’Intesa Stato-Regioni per adottare criteri di accreditamento dell’assistenza domiciliare in uso in Lombardia è stata considerata da molti una sorta diLombardizzazione del SSN.  Può darsi che le preoccupazioni circa la “Lombardizzazione” siano eccessive e così pure il timore che i 4 miliardi previsti per la sanità nel PNRR vadano ai privati, tuttavia non c’è dubbio che sia stata affrettata la pubblicazione dei criteri di autorizzazione e accreditamento dei fornitori privati.  Prima era necessario definire – con apposito decreto ministeriale, come previsto dal PNRR – “l’identificazione del modello organizzativo condiviso della rete di assistenza territoriale tramite la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e le strutture a essa deputate”. Capiremo meglio quando verrà approvato il decreto previsto per fine ottobre. Per intanto  il Documento specifica che per fugare dubbi in proposito (rischio di Lombardizzazione con la conseguente totale consegna dell’assistenza domiciliare al settore privato) nel decreto dovrebbe essere inserito un concetto: “Il paziente con bisogni di assistenza domiciliare si rivolge al Distretto di appartenenza che si assume la piena responsabilità della sua presa in carico e la soddisfa con le risorse sanitarie e sociali a disposizione (es: i team multidisciplinari delle Case della comunità). Se necessario, il Distretto potrà ricorrere alle prestazioni di un erogatore privato autorizzato e accreditato, che sarà scelto dalla ASL – non certo dal singolo paziente – e coordinato dalla Casa della comunità”.