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foto gruppo anziani 1di Serena Moriondo

Un settore immobiliare specifico che sta avendo grande impulso sia in Europa che negli Stati Uniti è quello dedicato alle persone anziane.

In Paesi come Francia, Germania, Belgio e Olanda questo tipo di alloggi si sta diffondendo da anni grazie anche a leggi specifiche che hanno offerto agli investitori delle agevolazioni fiscali.  Si tratta, di norma, di monolocali o bilocali tra i 40 e i 50 mq dati in affitto dove il singolo – ma anche la coppia – può vivere in piena autonomia condividendo, se lo desidera, alcuni spazi con altri coetanei dello stesso stabile: il bar, la sala da pranzo, la lavanderia, il cortile, il giardino, ecc. Volendo può anche partecipare ad attività ricreative e di socializzazione. Inoltre, può richiedere dei servizi aggiuntivi: la consegna della spesa o delle medicine a domicilio, la pulizia dell’abitazione, l’assistenza di un infermiere. Le abitazioni sono connesse 24 ore su 24 ad una centrale operativa per offrire un maggior grado di sicurezza e intervenire subito in caso di bisogno. Alloggi in cui chiunque, anche parzialmente non autosufficiente, può ricevere assistenza in ogni momento, vivere nel suo appartamento e – come dicevamo sopra – condividere spazi comuni. Si tratta di soluzioni abitative che la Commissione europea ha finanziato con il programma di ALL (Ambient Assisted Living). L'AAL Forum di quest'anno si svolgerà on line dal 18 al 20 ottobre 2021, come evento principale della II edizione della Settimana europea dell'invecchiamento attivo e in buona salute (EWAHA 18-22 ottobre).

Sono esperienze nate tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 come, ad esempio, quella che ha visto coinvolti centri di assistenza e complessi abitativi per anziani autosufficienti realizzati per volontà del Sindacato olandese. Hoppesteyn è un’area residenziale a Rotterdam dove gli anziani possono disporre anche di abitazioni autonome in affitto sia del settore pubblico che privato, il centro rispondeva all’inizio all’esigenza di accogliere gli anziani bisognosi di assistenza, fornendo loro un sistema di cura rigidamente articolato su una gestione istituzionale-ospedaliera. Nel 1998 la Fondazione “Stichting Bejaardenhuisvesting” ha promosso un intervento di ristrutturazione, in direzione di un complesso abitativo meno sanitario e più orientato a rispondere alle esigenze di autonomia. Oppure l’esperienza di Bourg-Achard in Francia dove la direzione della casa per anziani invece di limitarsi a rendere più umano il servizio offerto, ha scelto di modificare il modello di assistenza di tipo ospedaliero, puntando piuttosto alla costituzione di una sorta di villaggio totalmente integrato, posto nel centro della città. Nell’insediamento è localizzata anche la biblioteca comunale e i giovani studenti devono attraversare il quartiere per raggiungerla, vivacizzando notevolmente il contesto.  L’altro aspetto importante di questa iniziativa risiede nel fatto che si sono ispirati al principio secondo il quale la cooperazione tra le persone permette di prolungare la loro capacità di agire in modo autonomo. La struttura, pertanto, è stata realizzata in maniera tale da favorire l’aiuto reciproco tra gli anziani, spingendo i non autosufficienti a chiedere assistenza a quelli ancora indipendenti e contemporaneamente aiutando questi ultimi a conservare la propria autonomia. L’intervento di Ortolanweg a Berlino (Germania) si colloca in un’area residenziale consolidata, ben dislocata rispetto a negozi e servizi, e vuol essere “una nuova interpretazione di una vecchia idea”: avviato nel 1991, è stato concepito con l’intenzione di costituire una comunità mista di diverse età e gruppi sociali in stretta relazione (anziani e giovani, persone con problemi fisici o mentali, etc.) piuttosto che la consueta separazione in abitazioni per famiglie, blocchi per anziani e così via, come in genere capita nei nuovi interventi di residenze sociali. L’assistente sociale della cooperativa ha organizzato seminari per i futuri affittuari, coinvolgendoli in discussioni di gruppo, giochi di ruolo e discutendo su come affrontare problemi comuni per trovare un accordo sulle regole da adottare. Questo ha stimolato uno spirito comunitario prima che il complesso venisse completato ed anticipato eventuali conflitti fra inquilini. Vi è un edificio dedicato alle donne nato dall’idea che le anziane aiutino nella cura dei bambini le giovani che crescono i figli da sole e che le giovani restituiscano l’aiuto facendo la spesa per le anziane o con altre attività giornaliere. Mettere insieme donne anziane e giovani è in parte un modo per promuovere la dignità delle persone anziane, il cui ruolo è ritenuto prezioso all’interno del gruppo, invece di tenerle separate da altre fasce di età in grandi complessi abitativi protetti come spesso avviene (Fonte: per approfondire esperienze internazionali si consiglia il sito https://www.abitareeanziani.it/).

Oggi, però, non si tratta più di realizzare solamente abitazioni (Senior housing) che riescano a garantire ai loro occupanti l’autonomia e la sicurezza più complete e più durevoli possibili ma di introdurre risposte multiple in grado di coniugare il binomio Senior living e rigenerazione urbana e dare una risposta ai soggetti più svantaggiati dato che l’abitazione è un bene primario.

L’Associazione Nuove Ri-Generazioni, insieme alla Fillea Cgil e lo Spi Cgil, ha più volte affrontato il tema di come le comunità (città, borghi, aree interne) debbano diventare inclusive e sostenibili per tutti. Questo obiettivo deve essere perseguito senza escludere le persone anziane, sia quelle che sono ancora attive sia quelle non autosufficienti, da qui la necessità di fornire forme abitative flessibili e adattabili ai bisogni degli inquilini secondo le diverse fasi della vita.

Il progetto deve tener conto di numerosi fattori la cui valutazione non può ridursi al singolo alloggio, ma deve considerare tutti quegli aspetti fisici e sociali in grado di garantire il massimo benessere e l’indipendenza. È quindi necessaria un’analisi che contempli la scala urbana, le condizioni socio-economiche della popolazione, il progetto dell’edificio nel suo complesso e il modo in cui la tipologia abitativa si rapporta agli spazi comuni di cui l’unità abitativa dovrebbe essere dotata. Il primo elemento da considerare è il quartiere, scala territoriale di riferimento della persona anziana. È indispensabile offrire una sistemazione nel quartiere di appartenenza, quando sia ancora possibile dato che molti sono estremamente degradati, in modo da non sradicare la persona anziana dal contesto di relazioni e abitudini che gli consentono di muoversi a proprio agio e in sicurezza. La prossimità ai servizi pubblici e alle zone verdi, la presenza di collegamenti di trasporto, negozi e altri servizi contribuiscono inoltre a garantire un buon livello di partecipazione sociale e il coinvolgimento nella vita della comunità.

Sono sempre di più i Paesi che mostrano maggiore attenzione all’integrazione tra generazioni, ai modelli dell’hotellerie, a progetti che utilizzano la tecnologia più avanzata nelle abitazioni come nelle strutture di assistenza, molti meno quelli che si preoccupano di garantire abitazioni salubri e dignitose ai ceti più poveri. L’Italia, ad esempio, nonostante abbia uno stock immobiliare molto datato (circa la metà è stato edificato negli anni ’70 e per il 50% è composto da appartamenti con più di quattro stanze, dimensione largamente superiore a quella dell’attuale dimensione media delle famiglie italiane; in presenza di 50mila sentenze di sfratto di cui per morosità incolpevole pari oramai all’89% e 650mila richieste di alloggi ERP inevase) e con una popolazione anziana in aumento (gli over 65 sono 13,8 milioni e si stima che arriveranno a sfiorare i 20 milioni, cioè il 34% della popolazione, nel 2050 di cui oltre 5 milioni non autosufficienti), registra ancora un forte ritardo nel realizzare questa nuova impostazione progettuale delle città.

L’attenzione del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza ai temi della casa è decisamente positiva, ma non appare in grado di far compiere un salto decisivo al contrasto all’emergenza abitativa che segna il Paese, nella direzione di una abitazione dignitosa, sicura e socievole per tutti, come ha indicato il ForumDD al Governo. I progetti che dovrebbero ridurre il disagio abitativo andranno a finanziare (con due diverse voci da 1,4 miliardi di euro, 100 milioni dal 2022 a salire fino a 500 nel 2026) interventi dentro al “Programma per la qualità dell’abitare”. Una misura importante ma non sufficiente.

foto per non dimenticare anziani Infine, per quanto riguarda le RSA si è aperto finalmente un dibattito a seguito di ciò che avvenuto in molte di esse durante la prima fase della pandemia. Esperienza peraltro non ancora conclusa a causa delle continue restrizioni che impediscono interazioni con familiari e amici, al contrario, indispensabili a garantire una buona condizione di salute psico-fisica e affettiva degli ospiti. A tal proposito è nato il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”. Al Patto hanno finora aderito 37 realtà della società civile che hanno deciso di rinnovare l’impegno grazie al quale, negli scorsi mesi, è stato inserito nel PNRR il progetto di un Piano nazionale per le persone non autosufficienti, atteso dalla fine degli anni ’90, con la previsione di un investimento di tre miliardi e mezzo di euro. 

Le prime cinque proposte operative sono state elaborate dal Patto all’interno di documento presentato oggi ai Ministri Orlando e Speranza, all’Onorevole Marialucia Lorefice e alla Senatrice Annamaria Parente.

In sintesi:

  • Fare la storia. Come? Ridefinendo l’insieme degli interventi socio-sanitari finalizzati all’assistenza agli anziani non autosufficienti.
  • Superare la frammentazione. Promuovendo un approccio unitario, a partire dall’elaborazione congiunta della riforma tra i Ministeri della Salute e del Welfare.
  • Riconoscere la specificità della non autosufficienza. Nel definire ogni aspetto della riforma, prendere in considerazione le specifiche condizioni degli anziani non autosufficienti, e la loro eterogeneità. 
  • Investire per cambiare. Incrementare i finanziamenti pubblici dedicati alla non autosufficienza, in particolare ai servizi (domiciliari, intermedi e residenziali). Seguendo una semplice regola: ogni euro stanziato in più deve essere finalizzato a innovare le risposte.
  • Connettere interventi transitori e riforma. Avviare il cantiere della riforma, elaborando congiuntamente il testo generale e gli interventi transitori. È da questi ultimi infatti che si compie il primo passo del complessivo percorso di cambiamento. 

Tra gli aderenti i sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl, Uil oltre al Forum DD che lo ha promosso.

Link: Patto_per_un_nuovo_welfare_sulla_non_autosufficienza_20072021.pdf