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Foto Draghi 3di Gaetano Sateriale

La Premessa al PNRR del presidente Draghi è molto chiara e netta. Parte da un’analisi lucida dei lunghi ritardi italiani nell’innovazione, negli investimenti, nell’uso della spesa pubblica, nella produttività, nell’occupazione di giovani e donne rispetto agli altri Paesi europei. Poi indica le riforme necessarie (richieste dall’Europa e rinviate da anni), le “linee guida” del PNRR in sintonia con gli indirizzi del Next Generation EU e le risorse che saranno disponibili. È un’impostazione trasparente che va certamente sostenuta per le sue potenzialità innovative non solo sul piano economico ma anche su quello politico e della governance.

Ciò non toglie, anzi, a maggio ragione, conviene indicare subito alcuni vuoti che ancora si percepiscono nel PNRR rispetto ai bisogni-Paese pre e post pandemici. Primo vuoto, nel PNRR non ci sono gli anziani. Ci sono giustamente i giovani e le donne che devono trovare maggiori occasioni di lavoro ma in un Paese anziano (colpito anche per questo dalla pandemia più di altri) non si può dimenticare quella componente sociale e civile. Fanno bene i sindacati dei pensionati a dire che la promessa di legge sulla non autosufficienza è un passo importante. E certamente lo sviluppo della telemedicina e l’assistenza domiciliare e di prossimità sono indispensabili anche per gli anziani malati cronici. Ma non può essere solo un intervento sulla non-autosufficienza. I non autosufficienti in Italia sono 3 milioni. E gli altri 11? No, si tratta di corrispondere servizi ai bisogni di chi è autosufficiente ma vive isolato o solo in un’abitazione, un quartiere, un paese una città che non gli offre la sicurezza (le sicurezze), le relazioni sociali, una giusta e necessaria cittadinanza attiva. Una lacuna piuttosto grave sulla quale speriamo possa intervenire immediatamente anche il sindacato pensionati nel sollecitare integrazioni adeguate.

La seconda considerazione da fare non riguarda un vuoto ma un “mezzo pieno”. È certamente giusto e opportuno destinare una parte significativa delle risorse del PNRR al Mezzogiorno, per far ripartire un’area del Paese ferma da troppo tempo (forse da quando non ci sono più le tanto criticate Partecipazioni Statali…). Ma in questi anni (anche prima della pandemia) le diseguaglianze territoriali di reddito, di lavoro e di condizioni di vita sono penetrate anche in molte aree del Centro Nord con fenomeni non ancora contrastati di marginalità e spopolamento. Altrimenti perché si sarebbe creata la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI)? Non solo nel PNRR non sembra esserci questo tema, ma la stessa SNAI pare essere ridimensionata, se non dimenticata, dagli ultimi Governi.

Terza considerazione, la governance. Draghi parla della necessità di istituire un punto centrale (a Roma) di coordinamento, erogazione e controllo della coerenza tra progetti e indirizzi PNRR, e va bene. Accenna alla possibilità che questa “cabina di regia” nazionale possa scendere nei territori con delle task-force per supportare le carenze tecniche esistenti (immaginiamo nei piccoli e piccolissimi Comuni che, con il “superamento” delle Province, sono stati lasciati senza un’Area Vasta di riferimento) ma non si capisce quale rapporto vi sarà tra la regia di Roma e le tante diverse e disarticolate regie regionali e metropolitane cui la pandemia ci ha quotidianamente abituato. Non sarebbe anche questa una delle “grandi riforme” necessarie a modernizzare il paese? Se è così non si può immaginare di risolverla a partire dalla riforma della Pubblica Amministrazione: non si può confondere un problema di efficienza con un problema di “connessione” istituzionale. Come può essere efficiente un Paese scomposto in 20 realtà che non sono in rete fra loro?

Ancora sulla riforma della PA. Certo nuove assunzioni per avere nuove competenze, certo digitalizzazione. Ma nella PA c’è un problema che viene prima e che in un’impresa si chiamerebbe “mission aziendale” e “organizzazione del lavoro”. La PA deve assumere esplicitamente la finalità di risolvere i problemi dei cittadini con la “presa in carico” (come in sanità). Certo nel rispetto delle leggi, senza tuttavia assumere la funzione esclusiva di guardiano delle normative a prescindere. Le competenze vecchi e nuove dentro la PA devono collaborare e mescolarsi orizzontalmente fra loro per assolvere alla “mission” (efficacia) nel più breve tempo e con i minori costi (efficienza), non restare separate verticalmente per garantire le presunzioni autoreferenziali delle gerarchie. 

Infine sul decreto sulle semplificazioni che a quanto pare sarà la vera cassetta degli attrezzi del PNRR. Certo snellire le procedure perché i tanti progetti del PNRR possano partire in tempi non biblici è non solo giusto ma necessario. Avremmo considerato però, altrettanto necessaria la garanzia, anche con lo snellimento delle pratiche, che nelle ditte di appalto e subappalto vengano applicate le norme contrattuali di lavoro, sicurezza e diritti.

Se il PNRR è comprensibile debba essere articolato per “pilastri”, “assi”, “missioni” e “componenti” (per rispettare la moda europea) ci saremmo aspettati, almeno nella premessa del Presidente Draghi, una “vision” più compiuta del futuro del Paese in luogo o assieme ai molti auspici. La nostra è questa: un Welfare di cittadinanza più vasto e omogeneo  (da Trapani a Bolzano) e un Welfare del territorio fatto di innovazione ma anche delle necessarie manutenzioni delle coste, dei fiumi, dei boschi, delle montagne (altrimenti è inutile invocare la lotta al cambiamento climatico). Due “Welfare di cittadinanza” validi ovunque si abiti (senza disuguaglianze per censo, genere, età, luogo di nascita) sono il vero catalizzatore di una maggiore coesione sociale.