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Durante la Giornata mondiale del riciclo, del 18 marzo scorso, sono emersi dati preoccupanti che ci devono far riflettere sullo stato della transizione verso modelli di economia circolare. Nonostante l’entusiasmo iniziale, infatti, i dati più recenti rivelano un calo del tasso di circolarità globale, che dal 9,1% del 2018 è sceso al 7,2% nel 2023. E nel 2024 si prevede un ulteriore decremento. In altre parole, il Pianeta ricicla e riusa di meno.

Tra le prime cinque economie dell’UE l’Italia rimane il Paese più circolare d’Europa, anche se negli ultimi cinque anni perdiamo posizioni. Secondo il Rapporto nazionale sull'economia circolare (maggio 2023) a cura dI Circular Economy Network (gruppo di imprese e di organizzazioni in collaborazione con la Fondazione per lo sviluppo sostenibile) il tasso di utilizzo circolare dei materiali in Italia è al 18,4%, resta più alto della media UE (11,7%) nel 2021 – ultimo dato disponibile – ma eravamo al 20,6% nel 2020 e al 19,5% nel 2019 mentre altri Paesi, come ad esempio la Spagna, stanno mostrando notevoli performance di miglioramento. Peggioriamo, in particolare, su alcuni indicatori come il tasso di uso circolare della materia e la produttività delle risorse.

Il trend di circolarità permette di osservare quale Paese abbia fatto registrare il maggiore incremento di performance negli ultimi cinque anni. Sette gli indicatori chiave:

  • Tasso di riciclo dei rifiuti - La percentuale di riciclo dei rifiuti nel 2020 è stata del 53% in Europa e del 72% in Italia, che fa registrare uno dei tassi di riciclo più elevati nell’UE.
  • Tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo - l’andamento del tasso definito come il rapporto tra l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè da materie prime vergini + materie riciclate) è meno positivo (11,7%, sceso di 0,1% rispetto al 2020).
  • Produttività delle risorse - l’indicatore mostra come nel 2021 in media in Europa, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate vengono generati 2,1 euro di PIL. Per questo specifico indicatore, è confermato il primato dell’Italia (3,19 €/kg). L'Italia segna comunque un calo del trend di circolarità dovuto principalmente a un importante aumento tra il 2020 e il 2021 dei livelli di consumo interno di materiali (+14,7%), non accompagnato nello stesso periodo da una eguale crescita economica (PIL +6,7%). Un altro motivo può essere riconducibile al rilevante aumento dei consumi di minerali, che tra i materiali analizzati presentano una minore produttività delle risorse rispetto al PIL.
  • Produzione dei rifiuti e consumo di materiali - Il rapporto tra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali rileva l’indice d’intensità delle pressioni generate da un sistema produttivo per l’approvvigionamento delle materie prime: più basso è il valore del rapporto, migliore è la
    prestazione. Nel 2020 questo indicatore era al 35% per l’intera Unione europea (-2% rispetto al 2018). L’Italia è al 38,1%, con un incremento di ben 12 punti percentuali rispetto al 2012.
  • Consumo di energia rinnovabile - Per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile utilizzata sul consumo totale lordo di energia, si osserva mediamente in Europa un trend crescente del +7,5% tra il 2011 e il 2020 (fino al 22,1% nel 2020).Pur essendo solo seconda, dopo la Spagna con   il 20,4%, l'Italia è ancora molto distante dai recenti obiettivi europei (rinnovabili al 32% entro il 2030).
  • Riparazione dei beni - L’indicatore sulla riparazione dei beni analizza tre aspetti: numero di imprese, fatturato, numero di occupati. Nel 2020 l’Italia, con quasi 24.000 aziende che svolgono attività di riparazione, è al terzo posto tra le cinque economie più importanti d’Europa, dietro alla Francia (oltre 35.300 imprese) e alla Spagna (poco più di 29.100). Negli ultimi dieci anni diminuiscono però le nostre aziende: 2.622 in meno rispetto al 2011, quasi -10%.
  • Consumo di suolo - Nel 2018 risultava coperto da superficie artificiale complessivamente il 4,2% della superficie totale dell’UE27 mentre l'Italia si attestava al 7,1%. Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2018 tutti i cinque Paesi presi in esame dalla Relazione (Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna) hanno segnato un aumento del consumo di suolo, con l’incremento più contenuto in Italia (+0,07%).

A livello globale negli ultimi anni sono state lanciate oltre 50 roadmap e strategie nazionali, compreso il nuovo Piano d'azione europeo per l'Economia circolare (Risoluzione (2020/2077(INI). Tra i vari aspetti affrontati, la Risoluzione specificava che l'economia circolare aveva la potenzialità di aumentare il PIL dell'UE di un ulteriore 0,5 % e di creare oltre 700 000 nuovi posti di lavoro entro il 2030 (vedi "Economia circolare: le città i nuovi giacimenti urbani" 27.02.2021).
Tuttavia persistono nei Paesi europei approcci e normative diverse che impediscono di seguire con determinazione un percorso coerente in questa direzione. Questa mancanza di uniformità ostacola ogni sostanziale progresso, rendendo difficile per le aziende e i cittadini orientarsi nel complesso contesto normativo.

Secondo l'indagine IPSOS sulle scelte dei consumatori italiani in fatto di economia circolare si segnalano alcuni risultati tra i più significativi: viviamo in una società non abituata al riuso (32%), le persone preferiscono avere sempre l’ultimo modello uscito sul mercato (28%), molti prodotti sono fatti per durare poco (25%), la possibilità di acquistare prodotti rigenerati o ricondizionati è poco conosciuta (25%), l’acquisto di prodotti usati è associato a un basso status sociale (24%). Negli ultimi tre anni, fatta eccezione per l’acquisto di un prodotto usato di più largo consumo (45%), sia il noleggio (26%), sia lo sharing (15%) che il leasing (15%) risultano servizi utilizzati da una minoranza della popolazione.

Per superare questa sfida, è dunque fondamentale che i Paesi collaborino e armonizzino le politiche, consentendo una concreta transizione verso un’economia circolare. Ed è senz'altro necessario intensificare le campagne di educazione e sensibilizzazione, sottolineando l’impatto positivo dell'economia circolare sull’ambiente e sul benessere. Ma ciò è possibile solo se anche le imprese inizieranno a svolgere un ruolo fondamentale promuovendo e offrendo alternative sostenibili dei loro prodotti ai consumatori.

E, a tal proposito, i modelli Everything-as-a-service (XaaS) rappresentano un'opportunità di cambiamento in grado di creare dei vantaggi. Nel settembre 2021, condotto da SystemiQ, per conto del SUN Institute, è stato pubblicato "XaaS Everything-as-a-service", (XaaS - Tutto come-a-servizio). Il Rapporto, che ha uno specifico focus sul settore manifatturiero, mette in evidenza come il modello di business PaaS (product as a service) possa guidare positivamente le aziende nell'era del cambiamento climatico e della digitalizzazione.

I vantaggi sul piano economico, sociale e ambientale di questo modello circolare appaiono molteplici. Per brevità ve ne segnaliamo due:

1.  le aziende mantengono il possesso dei prodotti offrendo agli utenti il servizio di tale strumenti. Accanto all’automobile come servizio e alle attrezzature per la montagna e le attività outdoor come servizio, il report si concentra sugli elettrodomestici e, in particolare, sulla lavatrice, l’elettrodomestico a più alta intensità di risorse che ogni anno consuma in Europa occidentale 1,4 Mt di materiali, 24,2 TWh di elettricità e 1,5 miliardi di litri d’acqua (7,8% del consumo domestico di acqua). 
Offrire white good-as-a-service può essere un fattore cruciale per ridurre gli impatti ambientali associati alla fase di costruzione e di utilizzo. Secondo gli autori del Rapporto, il modello di abbonamento, in cui gli utenti pagano un canone fisso al mese per usufruire dei cicli di lavaggio della lavatrice, può consentire l'installazione diffusa di elettrodomestici di alta qualità con un’estensione della durata dei prodotti, una maggiore produttività delle risorse attraverso servizi di manutenzione, una maggiore efficienza delle risorse nella fase di costruzione e utilizzo e il recupero finale dei materiali. L'impronta di CO2 potrebbe essere diminuita di ~24% rispetto a una lavatrice media attualmente in uso.
Inoltre, la tecnologia e i sensori installati nelle lavatrici, e negli elettrodomestici in generale, possono rilevare il contenuto degli apparecchi e impostare il programma di lavaggio di conseguenza. In base a ciò, i cicli di lavaggio, il consumo di energia e di acqua possono essere tracciati e, attraverso analisi e meccanismi di feedback ai consumatori, le aziende possono fornire consigli sul comportamento ottimale attraverso approfondimenti in tempo reale sui programmi di utilizzo.
 Accanto ai benefici economici e ambientali, i ricercatori di SistemiQ evidenziano anche i potenziali benefici sociali di “tutto-come-servizio”, quali la democratizzazione del consumo in quanto potrebbe ridurre i costi domestici (le lavatrici-come-servizio potrebbero far risparmiare ai consumatori tra 43-76€ all’anno), la creazione di valore e occupazione a livello regionale, gli impatti positivi sulla salute connessi ad una migliore qualità dell’aria.
2. un nuovo modello di produzione e di consumo -  Questo modello rientra in quella che, già nel 1982, l’architetto Walter Stahel teorizzò come performance economy, vale a dire quell’economia in cui persone e aziende piuttosto che possedere prodotti, li usano grazie a contratti di locazione, pay-per-use o pay-for-performance, proprietà collettiva, piattaforme di condivisione, ecc. Nel modello di business “prodotto come servizio” aziende e/o fornitori di servizi vendono risultati, mentre mantengono la proprietà, e quindi la responsabilità, degli oggetti. Dal canto loro, gli utenti ottengono l'accesso, il servizio di tali oggetti, attraverso contratti di noleggio, locazione o condivisione che includono anche i servizi di manutenzione, consegna e take back. In questa logica, le aziende mirano a vendere l'uso dei prodotti come un servizio per il periodo più lungo possibile al fine di massimizzare i propri profitti, cercando, quindi, di produrre macchine che si rompano il meno possibile per evitare servizi di manutenzione o di sostituzione a proprio carico. Si tratterebbe di un modello ideale in cui solo prodotti più efficienti restano in circolazione, l’obsolescenza programmata non avrebbe più ragione d’esistere.

Rimangono alcuni problemi da considerare come le questioni logistiche nello sviluppo e nella diffusione del prodotto-come-servizio e le normative riguardanti la privacy degli utenti rispetto a sensori e tecnologie che raccolgono dati sull’utilizzo dei prodotti. Inoltre, a livello sociale, se non ben regolamentata, l'adozione di prodotto-come-servizio potrebbe creare nuove disuguaglianze anzichè offrire maggiopri possibilità. E' indubbio però che in un’economia sempre più dominata dai vincoli delle catene di fornitura, che si tratti di materie prime o di energia, l’economia circolare può rappresentare un importante modello di sviluppo, promuovendo un uso più efficiente delle risorse, diminuendo la dipendenza dall’estrazione e dalle importazioni di materie prime e riducendo la pressione sulle catene di approvvigionamento. 

Per la Redazione - Serena Moriondo